- Una recente ricerca scientifica, lo studio Gutenberg1, sfida per la prima volta il pensiero
convenzionale sulla separazione tra malattia venosa e arteriosa, mostrando al contrario che la
Malattia Venosa Cronica in stadio avanzato è associata ad un aumentato rischio cardiovascolare
così come ad un aumento della mortalità da tutte le cause
- Sulla base dei risultati dello studio Gutenberg si ipotizza il ruolo dell’infiammazione sistemica
come condizione comune tra Malattia Venosa Cronica e Malattia Cardiovascolare
- Lo studio conferma quindi la necessità di un cambio culturale nell’approccio clinico alla Malattia
Venosa Cronica, che deve necessariamente passare attraverso una visione olistica del paziente e
una presa in carico multidisciplinare, finalizzata a valutare con più attenzione le gambe dei pazienti
considerando i segni della MVC come un possibile campanello d’allarme per complicanze
cardiovascolari
Milano, 9 marzo 2023 – È una delle malattie più diffuse in Occidente e nel nostro Paese colpisce circa
19 milioni di persone. Nello specifico interessa dal 10 al 50% degli uomini e oltre la metà delle donne.
Si tratta della Malattia Venosa Cronica (MVC), una patologia che interessa la circolazione venosa ed è
caratterizzata da un alterato ritorno del sangue dalla periferia al cuore. Spesso banalizzata e limitata ad
un semplice disturbo estetico delle gambe, in realtà è una condizione ben più complessa, cronica ed
ingravescente, che tende a progredire velocemente verso stadi più avanzati, se non trattata
correttamente.
“In condizioni normali lo spostamento del sangue dagli arti inferiori verso il cuore avviene grazie alla
pressione esercitata dai muscoli delle gambe e dall’arcata plantare, con un flusso unidirezionale
assicurato dalle valvole venose. Quando questo processo viene alterato, il sangue refluisce attraverso i
lembi valvolari provocando la dilatazione delle vene sostenuto da un processo infiammatorio cronico –
dichiara Alberto Froio, Professore Associato di Chirurgia Vascolare, Università degli Studi di MilanoBicocca Fondazione IRCSS – San Gerardo dei Tintori, Monza – Nelle sue forme più severe la MVC può
provocare gravi complicanze come edema, pigmentazione della pelle, eczema fino alla comparsa di ulcere
e trombosi venosa”.
Recentemente pubblicato sull’European Heart Journal, lo studio Gutenberg ha indagato, per la prima
volta in una popolazione generale, la prevalenza dell’Insufficienza Venosa Cronica – stadio avanzato
della MVC – e l’associazione tra questa e le comorbidità cardiovascolari (CV), dimostrando che
all’aumentare della gravità della MVC è associato un aumentato rischio cardiovascolare, così come un
aumento della mortalità da tutte le cause.
“Le evidenze scientifiche emerse rimettono in discussione il pensiero convenzionale sulla separazione tra
malattia venosa e arteriosa. L’osservazione delle gambe è fondamentale per diagnosticare la MVC ma la
presenza di vene varicose, edema, cambiamenti della pelle e ulcere devono essere considerate un
potenziale campanello d’allarme di malattia cardiovascolare – spiega Romeo Martini, Presidente Società
Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare – Ancora oggi, infatti, il paziente con MVC viene avviato ad
un percorso diagnostico-terapeutico ( PDTA) limitato alla sola patologia degli arti inferiori. Sarebbe tempo
che si definissero PDTA prendendo in considerazione i suggerimenti dello studio Gutenberg, vale a
dire, prevedere ulteriori e semplici screening vascolari per i pazienti con MVC negli stadi più avanzati. Un
anamesi sulla familiarità per malattie cardiovascolari, la palpazione dei polsi arteriosi, la misura dell’indice
pressorio caviglia/braccio e il dosaggio del colesterolo LDL possono essere facilmente eseguiti sul
paziente con MVC evidenziando coloro a più elevato rischio cardiovascolare”.
I pazienti con MVC, infatti, possono andare incontro a importanti complicanze cardiovascolari, che
confermano il legame fisiopatologico tra le due patologie.
“Il link tra la MVC e le malattie cardiovascolari è dato principalmente dal fatto che le due patologie
condividono alcuni fattori di rischio come l’età, il fumo, il diabete mellito, l’obesità e il sovrappeso, che si
associano ad una disfunzione dell’endotelio, un’infiammazione cronica e una trombosi che è dovuta al
lento flusso e alla conseguente ipercoagulabilità che costituiscono le basi fisiopatologiche di entrambe
le patologie” – spiega Leonardo De Luca, Segretario generale ANMCO e cardiologo presso la U.O.C. di
Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma.
A confermare la correlazione tra la MVC e le patologie cardiovascolari anche un altro importante dato
emerso dallo studio, che dimostra per la prima volta che la MVC è in realtà un importante marker
predittore di patologie cardiovascolari come infarto e ictus.
“Lo studio Gutenberg ha infatti dimostrato che le persone con MVC nelle fasi più avanzate hanno un
rischio maggiore di sviluppare negli anni una malattia cardiovascolare di tipo arterioso e hanno anche una
mortalità per tutte le cause, rispetto alle persone che non ne soffrono – dichiara Roberto Pola, Segretario
Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare – Un’ipotesi che si sta facendo strada nella comunità
scientifica presuppone che sia l’infiammazione cronica il meccanismo biologico sottostante a queste due
patologie. Infatti, nella patologia aterosclerotica, che è alla base dell’infarto e dell’ictus, si riscontra un
importante contributo infiammatorio e d’altro canto anche nella malattia venosa cronica si osserva
un’aumentata produzione di molecole infiammatorie”.
Dallo studio Gutenberg emerge con chiarezza l’importanza di un cambio di rotta e di un nuovo approccio
alla MVC, in particolare negli stadi avanzati, che comporti un cambiamento nella pratica clinica da parte
della classe medica, in particolare in fase di indagini diagnostiche, al fine di poter approfondire la
problematica nella sua globalità.
“Questa è quella che si definisce visione olistica del paziente, vale a dire farsi carico di tutte le sue
problematiche e considerare la possibilità che esistano interazioni a distanza fra patologie
apparentemente non collegate tra loro – conclude Claudio Borghi, Direttore UO Medicina Interna
Cardiovascolare Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche-Università di Bologna – Negli ultimi 20
anni, nell’ambito delle malattie cardiovascolari, questo approccio ha fatto emergere anche altre
condizioni, apparentemente distaccate dal funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio, che sono
invece in grado di condizionare lo sviluppo delle malattie cardiovascolari stesse e fanno sì che oggi
l’approccio a queste malattie non possa più essere focalizzato solo su un prevalente fattore di rischio, ma
debba valutare ogni singolo paziente nella sua complessità. In questo senso tutti i professionisti sanitari
dovrebbero collaborare in maniera multidisciplinare per definire percorsi diagnostico-terapeutici in grado
di gestire al meglio il paziente”.
Si è sempre pensato alla MVC come ad una patologia benigna, fastidiosa, esteticamente impattante,
ma da un punto di vista clinico non importante e quindi sempre e soltanto come un disturbo di
circolazione, a volte dimenticando proprio che si tratta di una patologia cronica. Per la prima volta
queste nuove evidenze rimettono tutto in discussione.
“Servier da 60 anni è al fianco dei pazienti cronici con malattie vascolari e cardiometaboliche, mettendo
a disposizione dei pazienti un ampio portfolio di farmaci studiati per migliorare l’aderenza alla terapia –
conclude Marie-Georges Besse, Direttore Medical Affairs del Gruppo Servier in Italia – La nostra mission
si compie anche stimolando la riflessione e diffondendo consapevolezza su nuovi approcci culturali che
possono migliorare gli esiti clinici, l’organizzazione della presa in carico del paziente e i benefici in termini
di risparmio economico per il SSN. Per questo crediamo nell’approccio olistico del paziente, che deve
essere valutato nella sua complessità. Lo studio Gutenberg conferma la necessità di questo urgente
cambio di rotta nella gestione del paziente con MVC, una patologia che deve essere diagnosticata,
indagata in profondità e mai banalizzata”.
1Prochaska JH, Arnold N, Falcke A, et al. Chronic venous insufficiency, cardiovascular disease, and mortality: a population study. Eur Heart J. 2021 https://academic.oup.com/eurheartj/article/42/40/4157/6350776?login=false